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Positive Assessment of Pizzi's Productions in the Press
(translated from the Italian page about Pier Luigi Pizzi)
- 1980 - Gioachino Rossini's Semiramide - Coproduction of Aix-en Provence Festival, Teatro Carlo Felice di Genova & Teatro Regio di Torino.
Of course, if Muti or Abbado had been on the podium this would have been a world-class show, because Pier Luigi Pizzi's staging and costumes are simply brilliant in recreating with modern means that atmosphere of oriental exoticism that, undoubtedly, has its part in the score fluidity and in baroque sound [...] Massimo Mila,Una bella «Semiramide» rilancia il Regio (sovratitoli: Bravissime la Valentini e la Ricciarelli, splendida la scena di Pizzi), La Stampa, April 26, 1981.
Pizzi's immersive and magical staging, under Charles Fabius direction, has lost none of its beauty and stylistic precision [...] The stylized characters, those statues of absolute whiteness, which contrast with the flamboyant Arsace, Semiramide and Assur (candid in the first part and funeral in the second), and the motionless suggestion of the stage, always had an exemplary musical and ritual correspondence. Angelo Foletto, È madre e regina: ama, uccide, ma soprattutto canta, la Repubblica, Mar 7, 1981
- 1981 - Georg Friedrich Händel's Ariodante - Piccola Scala di Milano
Watching this show [...] provides an immediate satisfaction of the senses, caressed by perfect harmony [...] Pizzi is never as comfortable as in the baroque universe «Opéra International», Ariodante - Un chef d'oeuvre méconnu de Haendel, Oct 1983
- 1982 - Gioachino Rossini's Tancredi - Rossini Opera Festival
Already from the musical point of view, the Rossini Festival of Pesaro's "Tancredi" [...] will be remembered as examplar. [The conductor] Gelmetti is a highly sought after specialist in avant-garde music, but this does not prevent him from having several other things in his pocket, including Rossini [...] As a male character, Lucia Valentini Terrani [...] arrived at such expressive and vocal flexibility that will leave behind, and not a little, even the famous Tancredi della Horne; and as a feminine character, the fascinating Katia Ricciarelli [...] And there was the exquisite British Choir Abroad with an unbelievably limpid Italian; and the Chamber Orchestra of Europe, part of the well-known Youth Orchestra of the European Community.
All this would have been enough to make this "Tancredi" a show of maximum prominence in any of our productions; but not that "unicum" that actually succeeded. And that such would not have succeeded without a sublime direction, radically independent from the models featured today [...]
In "Tancredi" [...] unreality is particularly pronounced given the libretto, which has purged Voltaire's characters of almost every individual characteristics; while characters of enchanting freshness the music lends to the "affections" that they are staging (...) This is precisely what Pizzi has completely understood and made understood. As for Goethe, for him this work is a fairy tale [...]; which can be learned not only from the scenes and costumes, of exquisite Franco-Gothic inspiration, but above all an almost unique case in a country where the routine of government theaters discourages "work on man" a priori - from acting, from mimicry: in great measure expressive and very natural but never naturalistic, as befits mirages of fantasy and appearances. It is all recorded on music, both in its nuances and in its forms: the air or the tripartite duet systematically resolved in a partittion in three parts of the figurative situations; and with the singer who, in culminating moments, advances on a walkway placed behind the conductor as a touching reminder of that proscenium which the "Musikdrama" murdered. Nor will we forget the use of the choir: characters of etherial elegance (not recruited in fact [...] among the masses of some theater; reason why if this show were to undertake a world tour, as it deserves, the choir of its birth should be kept).
Fedele D'Amico, Un genio vergine. L'Espresso, Sep 26, 1982
From 1976 onwards, I listened to several editions of "Tancredi", the milestone of today's 'Rossini renassaince.'. On balance, therefore, I believe that the edition prepared in Turin's theater in the current season can be considered as the most complete. The Turin theater presented the best staging and the best direction in an absolute sense, which are then those that Pier Luigi Pizzi launched in Pesaro years ago. Rodolfo Celletti, Tancredi, Epoca, n. 1802, April 19, 1985.
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- 1982 - Gioachino Rossini's L'assedio di Corinto - Teatro Comunale di Firenze (Florence)
Splendide la regia e le scene di Pierluigi Pizzi, attentissimo ai valori musicali e abilissimo, nel gioco dell'astrazione, a dar corpo alla Sfinge rossiniana, così singolarmente collocata tra passato e futuro, immobilità e frenesia. Cosicché, al termine di questa serata, si sarebbe voluto evitare il crollo, un po' prosaico, delle mura di Corinto e lasciarle lì immobili nel tempo e nello spazio a perpetuo godimento del clan dei rossiniani e dei cultori, che pure ancora esistono, del «bello ideale». Bruno Cagli, Maometto alla francese, «Paese Sera», 20 dicembre 1982.
- 1983 - Jean-Philippe Rameau's Les Indes galantes - Théâtre du Châtelet (Paris), Grand Théâtre (Dijon); Gran Teatro La Fenice (Venice)
Come resistere alla magia dispiegata sotto i nostri occhi da Pier Luigi Pizzi, il grande vincitore della serata? Dal levare del vaporoso grande sipario blu di Francia, disseminato di fiori d'oro e sollevantesi verso il soffitto in un movimento di aerea assenza di peso, gli sguardi sono affascinati da tutto ciò che vedono: i musicisti in abiti d'epoca del XVIII secolo, che il praticabile dell'orchestra innalza gradualmente verso di noi; i coristi egualmente vestiti di ricchi abiti pastello e che prolungano le loro melodie in gesti semplici e morbidi, evoluendo, per tutto il corso della serata, dalla fossa alla scena, in teorie discrete, navigatori dei flutti o delle nubi. Come non ammirare anche e soprattutto questi ammirevoli costumi, variati all'infinito, d'oro e porpora profondi nell'Entrée des Incas, usciti direttamente fuori da una miniatura persiana nell'Entrée des Fleurs, e sempre immersi in una luce tenera, cangiante, viva come la musica di Rameau? «Opéra International», Pier Luigi Pizzi met en scène Rameau, maggio 1983
- 1983 - Jean-Philippe Rameau's Hippolyte et Aricie - Coproduction Paris' Opéra, Festival of Aix-en-Provence & Lyon's Opéra
Pizzi ha intuito una cifra figurativa tra le più felici della sua esuberante fantasia nel ricreare un ideale barocco. Nei raffinatissimi toni bruniti degli ori, dei porfidi e delle malachiti, le colonne scentrate al posto di improbabili cariatidi danno subito quel senso di inquietudine e di tensione che coinvolgerà drammaticamente Fedra e Teseo. Un gran velario viola serve da sipario alla scena e abilmente agitato secondo una tecnica portata da Pizzi a vertici di autentico virtuosismo si trasformerà poi in flutti furiosi o nel drago che inghiottirà il protagonista. Ottima la regia e favolosi i costumi realizzati da Tirelli ... Adriano Cavicchi, Un dongiovanni da tragedia, «il Resto del Carlino», 29 marzo 1987
... ostacoli reali impediscono l'esportazione di un genere così radicalmente «nazionale» come la tragédie-lyrique ... Si tratta di rendere i suoi valori percepibili a un pubblico straniero d'oggi: e l'impresa, vi assicuro, non è facile.
Splendidamente ci è riuscito però Pier Luigi Pizzi in uno spettacolo che è tra i più belli visti in questi ultimi anni: non è solo lo sontuosità dei costumi e delle scene, la festa dei colori, l'eleganza e la varietà dei movimenti, la profonda cultura figurativa che anima il tutto ad avvincere profondamente lo spettatore, ma il modo in cui è reso lo spirito di questa tragédie lyrique, la stilizzazione aulica di un mito che non ha l'eguale per conturbante ambiguità e misterioso fatalismo tragico. Hippolyte e Aricie non è altro che la versione musicale della Fedra: Rameau si misura nientemeno che con Racine, e il paragone regge il confronto.
Paolo Gallarati, Con Pizzi torna grande il tragico mito di Fedra, «La Stampa», 29 marzo 1987
E se ripensiamo alle altre realizzazioni omologhe ... è immediata l'identificazione del tratto scenico e teatrale di Pizzi con la dimensione cristallizzata, sontuosa eppure immobile, immobile eppure carica di drammaturgia segreta; caratteristica delle rappresentazioni musicali del diciottesimo secolo. Riportare alla memoria il cammino barocco del regista, dopo aver visto Hippolyte et Aricie, è automatico: in questo spettacolo denso e affascinante pare, infatti di ripercorrere tutto il percorso inventivo del Pizzi migliore. Nulla di nuovo eppure non una soluzione che sfugga al senso preciso del teatro di Rameau.
Il segno di Pizzi si rivela inconfondibile nel gesto con cui i mimi fanno scomparire il velo-sipario violetto. È un segno dove l'oro e i marmi scuri si compongono in lega cromatica indimenticabile, ma non unica. Ogni scena dell'opera, ogni personaggio avrà poi la sua precisazione di colore, di drappeggio del costume, di collocazione luminosa. Pizzi ormai ci ha allenato a una nitidezza e un'eleganza che «fanno» di per sé la stagione più generosa del teatro in musica: opera barocca è ritrovare le posizioni diversificate a ogni sezione delle arie, è riconoscere nei gesti bloccati del coro la coscienza di una partecipazione interpretativa che impiega l'astrazione come vocabolo pienamente espressivo. Opera barocca è il silenzioso apparire e scomparire dei protagonisti, anche loro ingabbiati in posizioni fisiche caratteristiche; privati quasi delle movenze quotidiane (cui provvedono i fidi, silenziosissimi e carbonei mimi), slanciati in una dimensione dell'esistenza che li avvicina agli dei così presenti nel loro destino terreno.
Su tutto il profumo della continua meraviglia delle immagini e di una ritualità teatrale che si specchia nel proprio profilo artigianale esibito (i «trucchi» sono sempre evidenti seppure magici) e che fa preferire l'uomo alla macchina nelle trasformazioni scenotecniche. Il passo drammaticamente estatico di Hippolyte et Aricie ha un'urgenza espressiva che conquista, pur sfuggendo alla semplicistica sensazione estetica. La bellezza delle immagini, cioè, non soffoca la tensione rappresentativa o le venature cupe che Pizzi giustamente intravede dietro il teatro cosmopolita di Rameau (...)
Angelo Foletto, Gli ori e i marmi dell'opera barocca, «la Repubblica», 29/30 marzo 1987
- 1983 - Mosè in Egitto di Gioachino Rossini - Rossini Opera Festival
L'allestimento – le scene, i costumi e la regia sono di un sontuoso Pier Luigi Pizzi – tiene conto [della] particolare situazione musicale e dà anche allo spazio scenico una profondità verticale. L'azione viene prevalentemente collocata tra i gradini di lunghe scalinate sulle quali, come accordi, si addensano gli Egizi con il loro oro, il loro azzurro, il loro viola, contrapposti al bianco che avvolge gli Ebrei. Il gesto scenico è spesso improntato a mimare una stupefazione che sovrasta la gente nel susseguirsi dei prodigi compiuti da Mosè. Momenti di fascino spettacolare si hanno nel buio dell'inizio e nella esplosione abbagliante della luce, nell'imperversare fumoso dei fulmini e nel miracolo del mare che si apre e si richiude, realizzato con un movimento di teli di plastica che forse potevano essere di una materia più preziosa.' Erasmo Valente, Ecco la Bibbia di Rossini, «l'Unità », 11 settembre 1983
- 1984 - Claudio Monteverdi/Luciano Berio's L'Orfeo, Maggio Musicale Fiorentino (Musical May, Florence)
Intorno all'Orfeo di Monteverdi, e al mito di Orfeo in generale, Luciano Berio, responsabile artistico del Maggio Musicale Fiorentino 1984, ha costruito una serie di proposte che, pur serbando ognuna la propria individualità , si chiariscono soltanto se messe in relazione e a confronto. La prima è una versione dell'Orfeo monteverdiano di tipo tradizionale […] La seconda è una versione moderna, se non post-moderna, dello stesso testo, sperimentalmente rielaborato e interpretato con segni e valenze di oggi per uno spettacolo popolare all'aria aperta (il cortile di Palazzo Pitti) cui il pubblico partecipa da coprotagonista: frutto di un lavoro di équipe e di scambio coordinato da Berio, Pier Luigi Pizzi e Franco Piperno, e realizzato da una «bottega» di giovani musicisti-trascrittori […]
Tutt'altro clima e tutt'altre intenzioni nell'Orfeo trascritto da Berio e dalla sua équipe. La volontà di adattare il capolavoro monteverdiano all'ascolto e ai mezzi di oggi, senza tradire l'immensa carica di seduzione emotiva dell'opera, appare decisiva. Il lavoro è affidato a cinque gruppi, ognuno diretto da uno specialista che assicura il complesso passaggio verso la libera elaborazione dei materiali di partenza (solo la linea vocale rimane immutata): voci e strumenti tradizionali, banda, computer, complesso rock, manipolazione elettronica delle voci. La scena è la piazza, o meglio il cortile, circondato da ogni lato ad altoparlanti che amplificano il suono o lo compongono attraverso il mixaggio e la trasformazione elettronica: al centro, su un grande piedistallo, campeggia la statua di Dante (presenza degli inferi o semplice omaggio a Firenze?); a un angolo, il David di Michelangelo a grandezza naturale. L'azione si svolge circolando sul perimetro del cortile; con alcuni spazi fissi deputati a simboleggiare determinati luoghi scenici. I personaggi mitologici indossano costumi d'epoca; gli altri, a sottolineare l'eternità e l'attualità dei protagonisti, sono biancovestiti, con un monogramma orfeico impresso sul pettorale. La rappresentazione ricorda un po' i carri trionfali medicei e carnevaleschi, un po' gli spettacoli popolari itineranti e le processioni; ma il pubblico, che è costretto a muoversi in tondo, ora distraendosi per salutare amici e conoscenti, ora immedesimandosi in ciò che vede e ascolta, ne rimane fortemente coinvolto.
Sergio Sablich, Firenze: Orfeo al Maggio Musicale, «Musica Viva», anno VIII, n. 9, settembre 1984
- 1984 - Le comte Ory di Gioachino Rossini - Rossini Opera Festival (l'allestimento è stato ripreso più volte anche in altri teatri)
Pier Luigi Pizzi per mettere in scena Le Comte Ory ha scelto la chiave della semplificazione ambientale, puntando piuttosto ad isolare le caratteristiche più intime quasi metaforiche della comicità rossiniana, senza confonderle con uno «sfondo» bozzettistico. E stavolta così c'era da ammirare più il regista dello scenografo.
Con un occhio alla commedia musicale con il suo ininterrotto racconto attraverso le passerelle dei personaggi e uno allenato a certa comicità mediterranea, fatta di ritmi gestuali sghembi e di mossette collettive, pronto a cogliere l'efficacia dei travestimenti che accompagnano la boccaccesca e goliardica vicenda del Conte Ory, Pizzi ha ordinato uno spettacolo dal respiro scenico cattivante e oliatissimo, toccando momenti saporosi soprattutto nel finale primo e nella parte del trio notturno, quando i personaggi sembrano muoversi come in un acquario, sfiorandosi e sfuggendosi.
Angelo Foletto, Che briccone quel Conte Ory per sedurla si veste da frate, «la Repubblica», 9 settembre 1984
- 1985 - Rinaldo di Georg Friedrich Händel - Coproduzione Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia e Théâtre Musical de Paris/Châtelet (allestimento più volte ripreso, oltre che in diversi teatri emiliani e allo stesso Municipale Valli nel 1991 e nel 2012, alla Fenice di Venezia, al São Carlos di Lisbona, alla Zarzuela di Madrid, al Grand Théâtre di Ginevra, al Teatro Verdi di Pisa, al Teatro Politeama Greco di Lecce, all'Arts Center di Seul, nonché, con nuovi costumi, al Teatro degli Arcimboldi, sede provvisoria del Teatro alla Scala di Milano, il 3 aprile 2005)
Il Rinaldo di Händel che è andato in scena al Municipale di Reggio e sarà prossimamente riprese in altre città emiliane, ha avuto come protagonista Pier Luigi Pizzi. In pochi casi io mi rassegno ad attribuire a una regia il primo posto, anziché l'ultimo, in uno spettacolo operistico, ma tant'è: il portastendardo questa volta è stato il regista-scenografo-costumista.
Il poema cavalleresco in musica, vanto del melodramma barocco, trovò nel Rinaldo (Londra, 1711) uno dei suoi prototipi; e Pizzi, come già in altre opere coeve, ha perfettamente compreso che il muro maestro di simili costruzioni è l'elemento mitico-fiabesco. È riuscito, per esempio, ad attribuire ai personaggi dimensioni quasi metafisiche stilizzandone la staticità e abolendo, come tratto indegno di loro, il muoversi sui propri piedi. Gli eroi e le eroine di questo Rinaldo quasi non danno un passo. Stanno in groppa a imponenti cavalloni, sia pure di cartapesta, o si spostano, in pose ieratiche, su carrelli a ruote pilotati da torme di solerti mimi. I costumi si ispirano a quelli dei tempi di Händel, già di per sé fantastici, irreali. Pizzi li ha resi ancor più iperbolici (e che era l'iperbole se non una delle componenti fondamentali dell'estro barocco?) e gli sterminati manti che si gonfiavano come per soffi immani di vento o i giochi di luce che sgorgavano dalle tenebre per mettere a fuoco i rutilanti oppure corruschi abbigliamenti dei personaggi erano la fantastica cornice di musiche di volta in volta maestose, guerresche, patetiche, vezzeggianti, ma anch'esse nate con il crisma di un mondo di incantesimi e sostilegi. Qua e là si decifrava controluce qualcosa di caricaturale; ed erano ammiccamenti all'Ariosto, da cui la trama in parte deriva.
Rodolfo Celletti, Rinaldo, «Epoca», n. 1795, 1º marzo 1985
- 1985 - Maometto II di Gioachino Rossini - Rossini Opera Festival
...la regia di Pier Luigi Pizzi, che ha giocato su costumi classici o di una visione neaclassica dell'Oriente favolosa e dirompente, in un cortile grigio, in cui si avvicendavano pochi elementi sufficienti a variare lo spazio e le condizioni dei movimenti, ha caricato di responsabilità la recitazione dei singoli personaggi che, in precise geometrie e insieme in forte personalizzazione dei gesti, conducevano la vicenda rivelando la progressione drammaturgica in modo infallibile con folgorante gioia dell'immagine e con attentissima rivelazione razionale. Lorenzo Arruga, Con Rossini a Pesaro uno sguardo nel futuro, «Il Giorno», 21 agosto 1985
- 1986 - Nel Giorno di Santa Cecilia, festa teatrale di Pier Luigi Pizzi, su musiche di Henry Purcell - Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia
Se avete un momento di tempo, leggete questo articolo; ma se per caso avete parecchi momenti di tempo, correte a Reggio Emilia a vedere lo spettacolo di cui sto per parlarvi e non leggete niente prima. Godetevi la sorpresa di vedere insieme uno degli spettacoli più belli del nostro tempo, di ascoltare una musica gradevole e intensa, di scoprire come nel cuore dell'Emilia ci possa essere il cuore del Barocco ritrovato.
Lo spettacolo si intitola «Nel giorno di Santa Cecilia», su musiche del grande compositore inglese Henry Purcell e ... fa sorgere l'immortale opera «Didone e Enea» all'interno dell'«Ode per il giorno di Santa Cecilia», come se nella cappella di un educandato femminile, o comunque in una cappella inglese della fine del '600 nascesse da una celebrazione sacra d'un giorno di festa, come per caso o per esigenza fatale e magica, ma anche come rappresentazione accuratamente preparata e deliziosamente giocata, l'opera classica sul dolore di Didone all'abbandono di Enea; opera che peraltro era nata proprio in un educandato femminile a Chelsea nel 1689.
Lorenzo Arruga, Purcell, il Barocco ritrovato, «Il Giorno», 23 febbraio 1986
[I musicisti e gli interpreti]...tutti in costume secentesco. Il costume, si intende, non è un vezzo esteriore, ma uno degli elementi principali della ricostruzione dell'antico mondo voluta da Pizzi. Un mondo in cui, oltre l'abito, si rinnova lo spirito di un'arte legata alla pittura, alla danza e, in una parola, alla scena vagheggiata come il centro del pensiero dell'epoca.
Qui Pizzi dà veramente fondo allo scibile unendo idealmente il culto di Santa Cecilia con la profusione dei simboli della scena drammatica. Non occorre dire quale sia la ricchezza delle immagini composte rievocando la grande pittura, da Raffaello al Carpaccio, dal Gentileschi al Reni al Vermeer che hanno dipinto la Santa con colori di cielo tra la profusione argentea e dorata degli strumenti musicali. È un continuo rinnovarsi di figure, di scorci, di assieme tra i quali l'occhio ammirato si perde.
Una magnifica riuscita, anche se talvolta proprio l'abbondanza delle immagini rischia di attenuare il senso di uno spettacolo «privato» come era la rappresentazione del dramma di Didone ed Enea all'Istituto delle Fanciulle di Chelsea. Un dramma di una sublime intimità , di toccanti sentimenti amorosi che vengono un po' sommersi dall'alluvione degli strumenti musicali che invadono la scena: l'organo che fa da letto a Didone, il violoncello bruciato nel rito delle streghe, trasformato in scudo o in nave, le trombe e i cimbali portati in processione sono tutti elementi in sé affascinanti ma che, aggiunti alle macchine, agli astrolabi, alle fiamme simboliche e alle candele decorative, riescono un po' frastornanti. Come se il gusto del bello spettacolo prendesse la mano a Pizzi.. Ma poiché sulla bellezza non vi sono dubbi, la serata, all'insegna delle meraviglie, ha ottenuto un esito trionfale ...
Rubens Tedeschi, Il bello di Purcell, «l'Unità », 23 febbraio 1986
- 1986 - Bianca e Falliero di Gioachino Rossini - Rossini Opera Festival
Pier Luigi Pizzi ha tradotto questa tragedia delle forme in uno spettacolo di forme. Un grande porticato rinascimentale, sul quale si aprono tre archi, costituisce tutta la scena. Piedistalli, scalinate si compongono e scompongono ai lati, al centro, secondo le esigenze dell'azione.
In questo spazio si innestano le figure umane, drappeggiati in rosso gli uomini che hanno il potere, a colori più delicati le donne, gialli, azzurri, ma anche Bianca è vestita di rosso, una volta entrata nel cerchio maledetto dei giochi di dominio. I movimenti dei personaggi creano quadri di stupenda fastosità : si riconosce, come modello, la Cena in casa Levi del Veronese. Un pittore del fasto, della recita, è il modello visivo più giusto per questo tipo di teatro. Non l'interiore Tiziano o il tormentato Tintoretto.
I costumi, splendidamente realizzati da Tirelli, sembrano fatti di una pasta cromatica spalmata sulla tela. Si gonfiano, frusciano, recitano coi cantanti. Sono l'equivalente visivo di arie, duetti, quartetti. A una così raffinata invenzione di visioni teatrali, lo spettacolo dell'Auditorium Pedrotti unisce una realizzazione musicale perfetta.
Dino Villatico, Sia dato un lieto fine a quella giovane passione, «la Repubblica», 25 agosto 1986
- 1988 - Otello di Gioachino Rossini - Rossini Opera Festival
Una Venezia rinascimentale, tutta pareti di marmo bianco o grigio e sopra vi si stampano grandi cerchi di porfido, si aprono archi a tutto sesto. Ai lati si alzano scale nude, senza parapetti, che si stagliano contro un cielo acquoso (...) Profili disegnati con la punta di china anche le figure, coi berretti cilindrici che sembrano levati da una tela del Carpaccio o di Gentile Bellini, per esempio quella dell'arrivo di una ambasceria turca a San Marco. E le pareti della basilica sembrano, infatti, ritornare, come un'ossessione lagunare, un po' in tutte le scene. Su quel monumento dorme Desdemona L'arco a tutto sesto bizantino funziona anche da arco rinascimentale. Una colonna divide in due parti il campo visivo. E allora a sinistra si può svolgere un festino, mentre a destra esplode il dramma familiare. Oppure, a sinistra, come sul proprio monumento marmoreo giace addormentata Desdemona, palpitante Ilaria del Carretto sottratta al Duomo di Lucca. Così la trova Otello e su quel letto-monumento funebre la uccide, anzi è Desdemona stessa, ormai freneticamente desiderosa di scomparire, di annientarsi, che guida le braccia del Moro a ficcare il pugnale nel suo cuore. È l'intuizione più interessante di questa nuova regia rossiniana di Pier Luigi Pizzi. L'Otello di Rossini non è né quello di Shakespeare né quello che dopo di lui compone Verdi. Dino Villatico, Otello, la lucida gelosia, «la Repubblica», 19 agosto 1988